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Il volto contemporaneo della Toscana etrusca / The contemporary face of Etruscan Tuscany

Secondo quanto tramandato da Lucio Seneca nelle Naturales qauestiones, la scienza etrusca dei fulmini si articola in tre fasi: analisi (quomodo exploremus), interpretazione (quomodo interpretemus) ed espiazione (quomodo exoremus). All'origine dell'indagine vi è l'individuazione della provenienza della folgore: essa può nascere nello spicchio di cielo compreso tra Nord ed Est, e allora è portatrice di un segnale propizio. Guai se, invece, proviene dal cielo tra Sud e Ovest perché è latrice di presagi infausti. La sola provenienza, però, non basta perché, secondo la teoria del reditus fulminis, conta anche in quale direzione essa si ritira dopo aver colpito. Gli auspici più favorevoli in assoluto derivano da una saetta che nasce nella prima regione del cielo e lì ritorna. Gli aruspici etruschi erano talmente esperti nell'interpretazione dei segni divini che molti di loro lavoravano a Roma andando a configurare una fuga di cervelli ante-litteram.

Tito Livio racconta, nel suo Ab urbe condita, che prima della caduta di Veio dopo il lungo assedio proprio dei romani, i segnali del cielo erano pessimi e avevano condannato la cittá a soccombere non appena il lago Albano si fosse svuotato, cosa che puntualmente accadde nel fatidico 396 a.C. Quello che, però, nemmeno il più abile degli oracoli aveva potuto predire era che la presa di Veio avrebbe dato il la al declino dell'intera civiltà etrusca. La conquista della città fu, in effetti, uno snodo decisivo nel pericoloso intreccio tra etruschi e romani sempre in bilico tra guerra e scambio. Terreni e ricchezze vennero confiscati, molti abitanti vennero massacrati e i superstiti ridotti in schiavitù. Nel giro di un secolo o poco più, la nascente potenza romana avrebbe risalito in armi la Penisola conquistando, annettendo e assimilando in maniera lenta ma inesorabile tutte le città etrusche, finendo per romanizzare di fatto una cultura che molti storici oggi non esitano a definire il primo focolaio della civiltà italica.

Chi erano, dunque, gli etruschi e che cosa resta oggi di questo popolo che ha lasciato tracce misteriose quanto fondamentali nel fluire tumultuoso della storia?

Inizialmente dediti all'agricoltura e alla pastorizia, essi non abbandonarono mai questa loro vocazione ‘contadina’, continuando a coltivare il rapporto con la terra anche quando, divenuti abilissimi armatori e commercianti, si avventuravano in lunghe navigazioni, soprattutto alla volta dell'Oriente greco e del mondo fenicio-cartaginese. A lungo, e a torto, indagati quasi esclusivamente per le loro necropoli ipogee, gli Etruschi erano in verità una civiltà raffinata e cosmopolita con tocchi di modernità del tutto sorprendenti nelle sfere politiche, sociali e artistiche.

Esteti raffinati, ingegnosi nella tecnica ingegneristica e nell'artigianato, non avevano una capitale, ma erano bensì organizzati in una confederazione di 12 popoli, che corrispondevano ad altrettante città-stato.

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